The Turning Point

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  1. Rebekah Mikaelson
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    Camminavo nervosamente per l'esiguo spazio dell'appartamento, avanti e indietro per la stanza, inizialmente sentivo soltanto il rumore dei tacchi, poi qualche gemito proveniente dal recluso. Mi morsi il labbro inferiore mentre analizzavo il probabile scenario. Nick mi aveva convinta ancora una volta ad aiutarlo. Trattenni il respiro sempre più irritata. Un'altro gemito, poi il silenzio e il rumore dei tacchi sulla pavimentazione.
    Mi avvicinai sempre più impaziente alla finestra, quasi consumavo la superficie marmorea con lo sfregare. Ero sempre più impaziente. "Dove diavolo si era cacciato?".
    Diedi le spalle a Kol e Damon. Notai il riflesso della mia immagine sulla lastra opaca, visibilmente tesa. Decisamente non mi donava, ma detestavo i contrattempi, e soprattutto i ritardi. Tamburellai con le dita sul braccio, mi sentivo osservata, immaginavo cosa mio fratello stava per dirmi... Non preoccuparti Rebekah arriverà, andrà tutto liscio. Qualcosa non tornava, ne ero convinta.
    Nick pensava solo ed unicamente ai suoi ibridi, forse... non avrebbe esitato a sacrificarci tutti per quel suo folle delirio, e io che non riesco a dirgli di no. La collera iniziava a montarmi dentro. Ripresi a camminare, mentre con la coda dell'occhio guardavo l'ostaggio, ancora in catalessi. La situazione non poteva reggere per molto, presto l'effetto della dose di verbena sarebbe finito e noi avremmo avuto un problema, a meno che non pensassimo ad un piano b.
    Guardai le lancette dell'orologio, segnavano le otto, doveva essere qui un'ora fa. Serrai i denti e continuai a passeggiare provando a neutralizzare la tensione. Come potevo non essere preoccupata?. Inizieranno a farsi domande, la copertura non avrebbe retto. Guardai la strada, sempre più impaziente, la perlustrai in lungo e in largo, niente, solo passanti, di Nick neanche la minima traccia.
    L'ennesimo gemito, e i miei passi ancora per la stanza. Stavo impazzendo, presto ci sarebbero stati alle costole, complicazioni su complicazioni. Eravamo noi tre contro tutti, non potevamo contare su Elijah, i suoi scrupoli e quel suo assurdo assetto comportamentale, lo condizionavano a tal punto da voltarci le spalle.
    Non ne potetti più, mi avvicinai a Kol e sbottai - Dove diamine è finito?! - esplosi, digrignai i denti dietro un falso sorriso - Pochi minuti e riprenderà coscienza, ed avremo un problema - sempre più nervosa - Non dovevo acconsentire! - quasi urlai.
     
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  2. Damon Salvatore.
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    Il buio invadeva il mio campo visivo. Non c'era nulla, davanti ai miei occhi, se non uno spazio immenso, nero... Un pozzo di tenebra in cui ero crollato all'improvviso, senza nemmeno accorgermene.
    Non sentivo il mio corpo, non riuscivo a muovere nemmeno un singolo arto. Anche i suoni si erano improvvisamente dissolti dal mondo.
    Cosa mi stava succedendo? Cos'era quel posto surreale e sconosciuto?
    Non avrei mai saputo dirlo.
    Mi sentivo come in una bolla. La testa, nonostante non riuscissi a muoverla, mi doleva da impazzire. Sembrava quasi come se stesse andando a fuoco, circondata dalle fiamme dell'inferno.
    Magari ero davvero morto - pensai - e quello era il posto destinato a me e a quelli come me, a coloro che avevano passato gran parte della loro vita a uccidere e bere il sangue delle proprie vittime, ai mostri che avevano scelto la strada dell'egoismo, piuttosto che far del bene agli altri. E nonostante fossi cambiato molto, soprattutto dopo aver conosciuto Elena, e mi fossi pentito di come avevo vissuto la mia vita da vampiro fino ad allora, in qualche modo quel posto mi sembrava adatto a me, una giusta punizione per aver manipolato le persone per anni ed anni.
    Pian piano, però, un flebile alone di luce biancastra riempì il buio. Non era altro che una linea sfocata, evanescente e flebile, ma il solo guardarla mi diede una nuova speranza di salvezza. E, con lentezza, tornò anche la consapevolezza di avere un corpo. Riuscii a muovere lievemente gli arti superiori ed inferiori, ma anche quel solo, piccolo movimento mi provocò un dolore insopportabile.
    Mi sentii gemere ripetutamente e a quel suono, ben presto, si aggiunse in sottofondo un ticchettio ripetitivo e costante.
    Ancora una volta la mia mente era annebbiata e confusa: non riuscivo a pensare e non riuscivo a capire in che posto assurdo mi trovassi.
    La luce aumentò e, contemporaneamente, aumentò il dolore bruciante e impietoso che mi straziava il corpo.
    Il mondo intorno a me passò dal nero al bianco e riuscivo quasi a riconoscere la sagoma sfocata di alcuni degli oggetti che mi circondavano. Pian piano i miei occhi si abituarono a quella nuova ed intensa luminescenza e riconobbi, sotto di me, la sagoma delle mie gambe, piegate sotto una sedia con i piedi legati.
    In quel momento una voce irruppe nel silenzio, interrompendo il ticchettio che avevo sentito fino ad allora.
    Non ci misi molto a riconoscerla: Rebekah. Avrei dovuto immaginarlo.
    I ricordi tornarono ad affollarmi la mente e, subito dopo, riuscii a riguadagnare la consapevolezza di quello che era successo.
    Tentai di alzare la testa, caricando i miei occhi color ghiaccio di odio bruciante, ma appena compii quel piccolo movimento, una stilettata di dolore mi punse la nuca, incendiandomi nuovamente la mente.
    Proprio in quel momento, però, un flash mi riempì la mente. Se avessero capito che il loro intruglio di verbena aveva consumato il suo effetto, probabilmente me ne avrebbero propinato dell'altro con la forza, e di sicuro non avevo la minima intenzione di ripiombare in quel mondo oscuro e confuso. Così decisi di richiudere gli occhi, lanciare un altro debole gemito, e fingere di essere ancora incosciente... Ma intanto, con gli occhi serrati dietro le palpebre, avevo l'opportunità di ascoltare, cercare di carpire informazioni sui loro piani e, magari, anche riuscire a trovare una via di fuga.
     
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  3. *Klaus Mikaelson
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    Sento a malapena la voce di Katerina accettare il mio accordo, preso come sono a captare ogni minima parola e movimento proveniente dall'interno.
    Come temevo Rebekah si sta facendo prendere dal panico. Probabilmente non avrei dovuto coinvolgerla nel piano. E forse neanche Kol, perchè lui, contrariamente alla sorella, agisce a volte troppo impulsivamente.
    Tra il ticchettio dei tacchi della mia sorellina e le loro voci odo anche un flebile gemito e quasi sospiro di sollievo.
    Almeno il nostro ospite è ancora vivo. Se quei due l'avessero fatto fuori l'intero piano sarebbe andato all'aria.
    Non che non vorrei Damon Salvatore morto, ma ci sarà tempo, per quello.
    Stringo leggermente il braccio di Katerina e spalanco la porta. Do una rapida occhiata all'interno, fermo sulla soglia.
    Tutto sembra rimasto come l'ho lasciato due ore fa: Damon è ancora legato alla sedia e privo di sensi. Scorgo un leggero fremito al di sotto delle palpebre chiuse, e un gemito uscire dalle sue labbra.
    Probabilmente sta per svegliarsi ma neanche quello rappresenta un problema, al momento.
    Rebekah si è fermata di colpo al mio ingresso e ora mi guarda imbronciata e in attesa. Volgo il capo verso Kol, che si trova dall'altra parte della stanza e mi guarda a sua volta.
    Gli faccio un leggero cenno del capo verso l'uscita e lui, senza dire una parola, esce e sparisce dalla nostra vista.
    Torno a rivolgermi a mia sorella.
    "Non ti preoccupare, sorellina. Sta andando tutto per il meglio." sorrido ed entro nell'appartamento, trascinandomi dietro Katerina. "Ti ho portato un amica, sei contenta?" dico, spingendola leggeremente verso il centro della stanza.
    E prima che Rebekah possa replicare qualsiasi cosa aggiungo "lei è con noi."
    Mi avvicino al nostro prigioniero e lo scuoto, come per sincerarmi che sia ancora incosciente. Poi prendo un coltello già sporco di sangue dal tavolo lì vicino e gli e lo infilo nel costato, procurandogli un gemito di dolore.
    "Preparatevi." mormoro senza voltarmi, osservando con perverso piacere altro sangue uscire dal petto del vampiro e colargli sulla camicia strappata. "Lasciamo Mystic Falls stasera."

    Edited by *Klaus Mikaelson - 27/2/2013, 20:08
     
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  4. Katherine_Pierce
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    A giudicare dalle voci alterate, la barbie doveva essere su di giri, risi divertita arricciando qualche boccolo. Problemi in paradiso?! pensai sollevando l'angolo sinistro delle labbra. La mia mente vagava in cerca del possibile piano, scandagliavo gli atteggiamenti dell'ibrido con lucidità in quei minimi secondi di silenzio, rivedevo tutto quanto, ogni parola della nostra conversazione, ogni segno di nervosismo, poi l'intuizione... ha un ostaggio, sorrisi soddisfatta. Sarebbe stato più semplice del previsto. Avrei fatto qualsiasi cosa per riottenere la libertà e se questo avesse incluso far male alla doppelganger... ben venga, arricciai le labbra perversa. Il desiderio di sangue non si era assopito del tutto, continuavo a percepire ogni suono indistintamente, avevo sete, una sete intensa e irrefrenabile, pochi attimi e le vene bluastre sarebbero apparse. Dovevo resistere. La gola ardeva. Fuori dalla piccola finestra che dava sulle scale esterne, le voci di alcuni passanti, cosa avrei dato per affondare i denti sui loro corpi e bere ogni singola goccia. Katherine controllati, non vacillare o ... tutto potrebbe precipitare, cercai di mascherare il nervosismo muovendo appena le anche. Immaginavo già lo scenario, i fratelli alle prese con un vampiro sedato, doveva essere uno molto vicino a quella Elena, uno dei Salvatore. Dovevo assolutamente essere al corrente del suo piano, ma fino ad ora non me ne aveva parlato, furbo da parte sua... indugiai ancora una volta nelle riflessioni, potrebbe chiedermi una prova che confermi le mie intenzioni, devo essere pronta. Klaus continua ad afferrarmi per il braccio, dopo aver quasi smantellato la porta mi strattona costringendomi ad entrare nell'appartamento abbandonato che avevo individuato precedentemente. Tutto calcolato al millesimo, osservai sorridendo. Quanto era nervosa sua sorella, il viso contrito, a giudicare dai pulviscoli doveva aver passeggiato per molto, risi alla sua vista, non potetti farne a meno. Alle sue spalle la sedia sulla quale giaceva sedato Damon. La tranquillizzò con quel suo solito sorriso, mi annunciò e spinse verso il centro della stanza - Uh Rebekah, è quel periodo?! - la canzonai ridendo, mi volto appena verso il mio persecutore - Come ha detto lui, sono con voi - i miei occhi si infiammarono letteralmente di quell'antica determinazione che mi caratterizzava da secoli. Resto immobile, mentre cerco di intimidire con lo sguardo gli alleati di circostanza. Klaus infilza Damon e mi scappa l'ennesima smorfia di approvazione. Avremmo lasciato Mystic Falls, che aveva in mente?.
     
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  5. Rebekah Mikaelson
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    Incrociai le braccia sul petto e lo guardai accigliata, secondo lui bastava un "sorellina sta andando tutto per il meglio?!", serrai le labbra sempre più nervosa, ma non battetti ciglio. Passai celermente lo sguardo sulla Petrova psicotica, l'aveva portata qui, aveva decisamente perso il senno. Tornai fissare duramente mio fratello - Certo come no?! L'effetto della verbena sta per esaurirsi, tu sparisci e torni con lei - la indicai con una smorfia di disgusto - Ho perso il conto di tutte le volte che ha cercato di fregarti, e vuoi che si unisca a noi?! - scossi il viso - Nick sei impazzito! - sbottai furiosa. Ripresi a passeggiare nervosamente per la stanza, dovevo calmarmi, non riuscivo, avevo la sensazione che tutto si sarebbe presto compromesso, poi la presenza della Petrova avrebbe contribuito. Quando sentì la sua battuta, con uno scatto fulmineo la raggiunsi "Oh, ora basta scherzare!" pensai, a pochi centimetri da lei - Oh Katherine, dovevi essere morta non molto tempo fa - camminai sino a lei e incrociai i suoi occhi castani - Posso porvi rimedio in questo preciso istante, dammi solo una ragione per farlo - inclinando il viso altezzosamente. Quella patetica imitazione di una vampira pretendeva di venire a dettare leggi qui. I gemiti del Salvatore erano il sottofondo alla mia ira, non era la prima volta che mio fratello mi trattava così... come l'intonaco al suo piano, l'inutile contorno, quando voleva ero la sua famiglia, e dovevo aiutarlo, ma non mi considerava abbastanza da chiedere il mio parere.
    Nick afferrò il coltello e per assicurarsi che Damon fosse incosciente lo pugnalò allo stomaco, sorrisi, ma non bastava a placarmi. Ritornai a passeggiare, i tacchi risuonavano in lungo e in largo sulla pavimentazione dello spoglio appartamento. Scostai l'esile tendina e sbirciai, nessuno in strada, fortunatamente non era stato seguito, nonostante tutto non riuscivo ad essere tranquilla. Elijah viaggiava pericolosamente troppo vicino ad Elena e ai suoi amici, ci avrebbe voltato le spalle in un niente, per quanto si professasse onesto.
    Lo sguardo di quella vampira mi faceva uscire di senno, come potevo conviverci? Lei voleva intimidirmi, avrei voluto piantarle un paletto dritto nel cuore, ma non potevo perché per l'ennesima volta mio fratello si era messo di mezzo, non un accenno, sua la decisione. Quanto non sopportavo essere messa da parte a quel modo. Disse che avremmo lasciato Mystic Falls. La sola soddisfazione che avevo era la vendetta, e se ne avessi avuto occasione l'avrei messa in atto.
     
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  6. Damon Salvatore.
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    Con uno scatto, la porta d'ingresso della stanza, poco distante da me, si aprì con un cigolio. Quel ticchettio fastidioso che aveva accompagnato il mio risveglio, si interruppe di colpo e, per qualche istante, tutto tacque. Poi le loro voci. Riconobbi all'istante quella di Klaus, sprezzante e irritante, come al solito. Rassicurava sua sorella e le mostrava qualcuno accanto a lui, di cui io riuscivo a vedere solo l'ombra sfocata che si allungava sul pavimento davanti ai miei occhi socchiusi. Trattenni l'istinto di alzare il capo, bramoso di sapere chi fosse il nuovo ospite, ma quest'ultimo mi precedette. La sua voce invase l'aria, tanto suadente e familiare, quanto dolorosa e straziante: la voce di Katherine.
    I miei occhi si sgranarono istintivamente e serrai le labbra per trattenere un altro gemito, nel sentire quel suono.
    Lei, lei era la causa di tutto. Del male che avevo fatto, del male che Stefan aveva fatto e di tutto ciò che sarebbe successo di lì a poco.
    Digrignai i denti, senza far rumore. La mia impulsività, mai come in quel momento, doveva essere sedata, per lasciare il posto ad una fredda razionalità. Avevo bisogno di essere sveglio, attento a cogliere ognuna delle loro parole e carpire più informazioni possibili per garantirmi una via di fuga. Ma la voce di Katherine, così simile a quella di Elena, non faceva altro che peggiorare la mia lucidità.
    Sentii nuovi passi sul pavimento che si avvicinavano pericolosamente a me, e lo sguardo indagatore dei tre vampiri percorrermi dalla testa ai piedi.
    Poi due mani mi afferrarono le spalle, scuotendomi con forza. Tutta la mia buona volontà era canalizzata nel tentativo di non aprire gli occhi, che avevo di nuovo sbarrato dietro le palpebre appena i passi si erano fatti sempre più vicini.
    Quando le scosse cessarono, abbandonai la testa all'indietro, mentre la luce del lampadario disegnava degli arabeschi di fuoco nel buio delle mie palpebre abbassate.
    Il dolore arrivò improvviso e bruciante. Una lama mi trafisse il petto, togliendomi per qualche istante il respiro. L'istinto di urlare, ringhiare e mordere stava per sopraffarmi, ma una vocina dentro di me continuava a ripetermi, incessantemente, di tacere. Sentii i canini bruciare e cercare di manifestarsi, per affondarsi nel collo del mio assalitore, ma, stringendo i pugni nascosti dietro la schiena, mi costrinsi a tacere. Solo un gemito riuscì ad aggirare gli argini del mio ferreo autocontrollo.
    Poi la mia attenzione fu attratta da quella frase, lapidaria e definitiva: "Lasciamo Mystic Falls stasera."
    Se davvero erano quelli i piani di Klaus, tutto per me sembrava ormai perduto. Portarmi via da Mystic Falls significava ridurre al minimo le speranze che avevano alimentato la mia tenacia fino ad allora. Mikaelson aveva appoggi ovunque, avrebbe potuto trascinare la mia carcassa per miglia e miglia, tenendomi sempre al guinzaglio e sotto l'effetto della verbena, come un cagnolino troppo disubbidiente che avrebbe dovuto addomesticare. Come avrebbero fatto Stefan ed Elena a trovarmi se fossimo davvero partiti?
    Quel pensiero mi invase la mente e le parole di Klaus rimbombavano nelle mie orecchie, ripetitive e fastidiose, come un disco rotto e il ticchettio sul pavimento, ricominciato all'improvviso, fece da sottofondo alla mia crescente agonia.
     
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5 replies since 19/2/2013, 15:21   140 views
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